Riflettografia infrarossa
La riflettografia infrarossa è una metodologia di indagine ottica che si applica in genere ai dipinti, ai manoscritti e ai disegni. Essa è inquadrabile fra le tecniche di imaging quali l’analisi fotografica nelle diverse versioni (macrofotografia, riprese in luce radente, IR, UV, falso colore, etc.), la radiografia, la spettroscopia per immagini. La riflettografia infrarossa può essere considerata la naturale evoluzione della fotografia infrarossa, eseguita tradizionalmente con pellicole bianco/nero sensibili fino a circa 800 nm. L’impiego delle moderne telecamere – è più recentemente di fotocamere a stato solido – permette, infatti, di ottenere riprese fino a lunghezze d’onda nella zona dell’infrarosso vicino (NIR: 800-2000 nm) e perciò l’indagine riflettografica è particolarmente adatta a rendere visibile il disegno (denominato disegno sottostante ovvero soggiacente o underdrawing) tracciato dall’autore sulla preparazione presente sotto lo strato pittorico. Infatti, per valori più elevati di lunghezza d’onda gli strati di pittura hanno in generale una trasparenza molto maggiore che nella zona più ristretta dello spettro infrarosso alla quale è limitata la sensibilità della pellicola infrarosso tradizionale. L’esame del disegno soggiacente nella maggior parte dei casi è di grande interesse per lo storico dell’arte perché rivela in modo diretto la mano dell’autore e ciò può essere di grande aiuto per esempio nei casi di dubbia attribuzione.
Il disegno è a volte costituito da poche tracce essenziali, in altri casi invece è eseguito con grande dettaglio e precisione fino al tratteggio delle ombre, rappresentando così una vera e propria opera d’arte, testimonianza fedele del processo creativo destinata a rimanere nascosta, ma per nostra fortuna resa visibile da questa tecnica.
L’analisi riflettografica inoltre è in grado di mostrare variazioni in corso d’opera (i cosiddetti pentimenti), l’estensione di interventi di restauro e ridipinture effettuati con pigmenti moderni e, in generale, lo stato di conservazione della superficie dell’opera.
La riflettografia infrarossa è soprattutto impiegata per i dipinti su tavola o tela, raramente per le pitture murali. Nel caso degli affreschi, infatti, non essendo trasparente all’infrarosso lo strato di intonachino, il suo uso è limitato all’esame di zone di ripresa a secco. Si segnalano a questo proposito risultati clamorosi nei quali è stato possibile evidenziare in modo assolutamente non distruttivo mediante la riflettografia infrarossa la versione originale affrescata che è stata corretta da successivi interventi; come, per esempio, il caso della foglia aggiunta in epoca successiva alla figura di Adamo nella Cappella Brancacci. Un risultato di grande interesse dalla riflettografia infrarossa nel caso degli affreschi antichi si ha per effetto della relativa trasparenza all’infrarosso dello strato di sporcizia o di annerimento. Questo stesso effetto si utilizza per rendere maggiormente leggibili antichi testi su pergamena o papiro anneriti dal tempo.
Prime applicazioni delle analisi riflettografiche
Già dal 1873 era nota l’esistenza di sostanze coloranti in grado di estendere all’infrarosso la sensibilità dell’emulsione fotografica, ma solo dagli anni Trenta la fotografia con l’infrarosso viene impiegata per l’esame dei dipinti.
Esce l’articolo di Lyon Infrared radiations aid examinations of paintings, nel 1940 Ian Rawlins della National Gallery di Londra pubblica il libro From the National Gallery Laboratory, in cui affianca all’indagine radiografica dei dipinti anche immagini infrarosse.
Una delle prime immagini in IR dell’unico testo etrusco su papiro esistente: il Liber Linteus. È scritto su lino con inchiostro nero d’avorio e rosso cinabro. L’indagine in infrarosso ha permesso di rivelare molti dettagli nascosti alla luce visibile. La foto è stata scattata nel 1935 circa da Plotnikov.
La fotografia infrarossa diventa a partire dagli anni Cinquanta un’analisi di routine, almeno su dipinti fiamminghi del XV secolo, per i quali garantisce buoni risultati nella lettura del disegno grazie soprattutto al medium oleoso e allo spessore esiguo degli strati pittorici, oltre che dai pigmenti adoperati. In Italia l’uso della fotografia infrarossa rimane più che altro circoscritto al campo del restauro, per individuare zone soggette a ridipinture.
A questi anni risalgono i primi riflettogrammi, realizzati con una telecamera equipaggiata con rivelatore al solfuro di piombo, che impiega circa mezz’ora per produrre ciascuna immagine tramite un sistema a scansione interno.
Il fisico olandese van Asperen de Boer sviluppa nei tardi anni Sessanta una metodologia che impiega telecamere sensibili all’infrarosso, usate altrimenti per scopi termografici, sensibili fino a 2 micron.
Si affermano dispositivi cosiddetti a stato solido per la rivelazione della radiazione (CCD) in cui ogni singolo fotone a contatto con il rivelatore può produrre uno spostamento di cariche che può generare un segnale. In questi dispositivi, presenti nelle moderne fotocamere digitali la risoluzione spaziale può essere particolarmente elevata fino a alcune decine di punti per millimetro.
In via sperimentale, si cominciano a usare rivelatori a stato solido precedentemente sviluppati per scopi termografici dotati di una maggiore estensione nell’IR rispetto a quelli al silicio, si tratta tipicamente dei rivelatori al gallio-antimoniuro di indio (InGaAs), e al siliciuro di platino (PtSi), i primi attivi tra 0,9 e 1,7 micron circa, i secondi tra 1,2 e 5 micron. E’ nel 1991 che l’INOA mette a punto il primo scanner con sensore costituito da un fotodiodo PIN di InGaAs. La risoluzione è di 16 punti per millimetro quadrato. Con questa apparecchiatura vengono studiati nella seconda metà degli anni ’90 dipinti degli Uffizi e della Pinacoteca di Brera.
Il sistema attualmente più innovativo è un dispositivo a scansione del piano immagine.
Dalla modifica di alcune fotocamere digitali ad alta risoluzione l’istituto ha realizzato i primi apparecchi estremamente compatti e ad alta risoluzione per poter effettuare campagne di misura su estese collezioni museali. Questi sistemi più maneggevoli, sicuri e con maggiore risoluzione spaziale permettono di operare in condizioni di difficile accessibilità – come nel caso tipico di opere collocate in chiese – e registrano immagini di alcuni megapixel, quindi molto definite. D’altro canto, operando solo fino a poco oltre 1 micron, non possono così sfruttare la trasparenza di vari pigmenti. Naturalmente tali strumenti possono essere usati per ispezioni preliminari volte a decidere ulteriori misure con apparecchiature con sensibilità infrarossa più estesa.